I casi di tampering – vale a dire di contaminazione alimentare – sono piuttosto frequenti: basta scorrere l’elenco dei richiami di prodotti disponibile sul sito web del Ministero della Salute, per rendersene conti. Tra i casi recenti a fare più notizia è avvenuto un anno fa, quando un noto brand alimentare ha annunciato di avere ritirato due lotti di panettoni dagli scaffali di alcune catene della grande distribuzione per la possibile presenza di filamenti metallici all'interno del prodotto. Successivamente all’annuncio, ripreso dai principali media online e offline, l’azienda ha utilizzato i propri canali di comunicazione per rassicurare i consumatori e segnalare l’avvio di una indagine interna per verificare le cause dell’accaduto: iniziative comuni a moltissimi casi simili e finalizzare a limitare il danno di immagine che da questi casi può avere un impatto decisamente maggiore rispetto alla perdita del prodotto ritirato.
La contaminazione e il ritiro di un prodotto dal mercato comportano diverse tipologie di costi: dalle spese per l’analisi e il tracciamento del prodotto in questione alle spese legali; dai costi per le comunicazioni alle istituzioni a quelli per le comunicazioni ai consumatori e agli altri stakeholder; dai costi di trasporto, stoccaggio e smaltimento alle spese per le attività di monitoraggio per i rimborsi o per le nuove forniture.
A questi esborsi si aggiungono i costi impliciti dovuti all’interruzione della produzione, alla costituzione di un team interno dedicato alla gestione della crisi, alla cancellazione di ordini o commesse legate alla difettosità del prodotto e all’eventuale revisione dei processi e delle procedure interne.
“Ma l’impatto maggiore, solitamente, è quello sulla reputazione aziendale, alimentato dai media e soprattutto dalle opinioni dei consumatori, condivise principalmente attraverso i social network” spiega Andrea Cosmo, Head of Placement - Property & Casualty di Willis Towers Watson. Una recente ricerca di Harris Interactive rivela che il 55% dei consumatori cambia brand quando viene a conoscenza di un richiamo di un prodotto alimentare, anche se solo temporaneamente, mentre il 15% dichiara che non acquisterà più prodotti di quel marchio. Non solo, il 21% delle persone intervistate dichiara che eviterà attivamente di acquistare l’intera gamma prodotta dal fabbricante convolto dalla recall e non solamente il prodotto richiamato.
Se consideriamo l’insieme dei costi che un’azienda si trova ad affrontare in caso di contaminazione di uno dei suoi prodotti è evidente che una generica polizza RC che copre i danni provocati a terzi risulta essere insufficiente.
D’altra parte, in molti casi nemmeno un’estensione “Ritiro Prodotti” non è in grado di offrire adeguate garanzie di protezione. Secondo gli assicuratori, infatti, a causa del comportamento di gran parte dei consumatori, la quota preponderante del danno finanziario subito è successivo alla conclusione dell’attività di ritiro.
“Progettata come una combinazione tra una copertura di 1st party, ma applicabile anche per richiami effettuati da terzi, la polizza Tampering offre una garanzia completa all’impresa, con una serie di coperture a 360°” aggiunge Andrea Cosmo. Queste includono: le spese per i servizi di consulenza di fornitori specializzati in azioni di ritiro prodotti, sicurezza prodotti e pubbliche relazioni; le spese di ritiro del prodotto, i costi di ridistribuzione e soprattutto le spese di riabilitazione della reputazione: costi di natura pubblicitaria, promozionale e di immagine (dall’ideazione e produzione di un nuovo packaging al lancio di una campagna di comunicazione).
Inoltre, mentre una copertura “Ritiro Prodotti” standard si applica solamente a prodotti che siano già stati consegnati a terzi e genericamente per le spese strettamente legate al ritiro dal mercato o al richiamo dal consumatore, la Tampering - che come detto copre un ventaglio ben più ampio di costi – si applica anche ai prodotti preparati disponibili per la vendita anche se ancora in possesso dell’assicurato.